Lo scavo archeologico delle antiche navi


Nel corso dei lavori per la realizzazione delle fondazioni di un nuovo centro direzionale delle Ferrovie dello Stato, nell’area della stazione di “Pisa San Rossore”, a poco più di cinquecento metri in linea d’area dalla piazza del Duomo, nei primi giorni di dicembre del 1998 sono stati riportati in luce i resti del porto urbano della città etrusca e romana.


Una serie di circostanze casuali, come la presenza di una copiosa acqua di falda superficiale e l’assenza di ossigeno nei livelli sabbiosi, hanno permesso ad una rilevantissima serie di reperti archeologici di giungere fino a noi.


Lo scavo condotto dall’equipe della Soprintendenza ai Beni Archeologici della Toscana, con i resti delle sue almeno sedici imbarcazioni (di cui otto in corso di scavo), il loro carico, le strutture portuali (moli, un pontile, una palizzata frangiflutti), di epoche diverse e in ottimo stato di conservazione, si configura come un unicum nel panorama dei ritrovamenti archeologici almeno degli ultimi cento anni.
I reperti individuati fino ad oggi ci permettono di documentare la vita del porto pisano nell’arco di 10 secoli (dal V sec. A.C al V. sec. D.C.)

Già nel 1997 in quest’area fu eseguita una serie di saggi che a causa della copiosa acqua di falda superficiale non avevano potuto raggiungere i livelli più profondi e si erano limitati ad individuare, al di sotto dello strato antropico moderno, i resti del catasto rinascimentale e - limitatamente al settore più meridionale - consistenti tracce della centuriazione di età imperiale.
A partire dalla fine del novembre 1998 l’impianto del sistema logistico del cantiere FF.SS. ha permesso di raggiungere i livelli più profondi. Si è cosi giunti nei primissimi giorni del dicembre 1998 alla scoperta del primo relitto, in parte tagliato dal sistema di palancole e well points che consente di operare.

Al frequentatore abituale di scavi archeologici, l’aspetto del cantiere archeologico di Pisa San Rossore apparirà, quanto meno, inconsueto: disceso da una scaletta fino alla profondità di cinque metri, si ritroverà in un recinto di ferro, ad ammirare i relitti che emergono entro isole di terra in un mare uniforme di cemento. Tutto questo necessita di una spiegazione: il “recinto” che coincide con il perimetro di quello che doveva essere il costruendo edificio delle FFSS, è in realtà un palancolato, formato da elementi modulari di 11 metri, conficcati nel terreno allo scopo di “tagliare” l’acqua di falda e di eliminarla grazie ad un sistema di pompe well point. Quello che poi appare ad un primo sguardo come cemento, è in realtà un impasto di malte, estremamente tenero e quindi facilmente rimovibile, gettato sul terreno alla profondità di cinque metri, per evitare all’acqua di risalire e rendere il terreno impraticabile.
Essendo i relitti venuti in luce tutti più o meno al limite della quota di sicurezza, si è reso necessario cercare di delimitarne i contorni per posizionare attorno ad essi un secondo palancolato che permettesse di scendere ad una maggiore profondità. Si sono venuti in tal modo a creare dei settori di scavo, ognuno dei quali ospita al suo interno uno o più relitti.

 

I settori di scavo


L’Area 1 situata al limite nord-est, ospita il primo relitto venuto alla luce, la nave oneraria A; ritenuta in un primo momento un caso isolato, le Ferrovie decisero, d’accordo con la Soprintendenza, di spostare il perimetro stesso dell’edificio di 8 metri verso sud, e lasciare agli archeologi il tempo e il modo di scavare con tutta tranquillità.
Le Aree 2 e 3 sono comprese all’interno di un recinto di palancole assieme all’area 1; all’area 3 è pertinente il relitto B, all’area 2 l’imbarcazione F, la “piroga”, mentre al confine fra i due settori, confine artificiale creato per motivi pratici di rilievo e documentazione, troviamo la Nave E.
L’Area 4 al centro dell’area generale di scavo, comprendeva in un primo momento solo due strutture lignee, rinvenute a quota –4.50 metri circa. Queste nel proseguire degli scavi si sono rivelate pertinenti ad un'unica struttura, un barcone da pesca di notevoli dimensioni, detto nave C.
L’Area 5, a nord dell’area generale di scavo, ospita all’interno del proprio palancolato la nave D. Al di sotto di essa sono state individuate almeno altre due imbarcazioni.

La nave D al momento del ritrovamento


L’Ampliamento sud, costituiva la rampa di accesso ai mezzi meccanici ed è stato quindi l’ultimo settore ad essere scavato, e l’unico dove lo scavo è stato concluso. Di forma stretta e allungata, è stato suddiviso in tre sotto settori, denominati 1, 2 e 3, contenenti rispettivamente i resti della nave ellenistica, il molo e la palizzata frangiflutti.

La nave D
Foto Gianni Berti - CoIDRA

 

Lo scavo e la documentazione

foto di Phillippe Plailly
per gentile concessione Eurelios - press agency

Il metodo di scavo adottato è stato naturalmente per tutte le aree quello stratigrafico, ulteriormente perfezionato per la grande mole di materiali rinvenuti.

Per quello che riguarda la metodologia, è cercato di privilegiare, all’interno dei settori, lo scavo in estensione, tranne nei casi in cui motivi di sicurezza della struttura lignea ha reso necessaria l’applicazione di metodologie diverse come ad esempio nell’area 5, in cui si è dovuto operare per saggi alternati, lasciando un risparmio di terreno fra l’uno e l’altro, a causa della posizione della nave, rinvenuta rovesciata, priva della chiglia e fortemente inclinata verso nord. Questo ha permesso di poter puntellare la struttura in modo che non creare pericoli di collasso.
Per quello che riguarda lo scavo e la documentazione grafica dei relitti la metodologia è invece più complessa, determinata dalla necessità di un’immediata resinatura a scopo conservativo: si è così operato in “equipe”, con squadre alternate a rotazione di archeologi, rilevatori e resinatori: lo strato era scavato per piccole porzioni, mettendo in luce le parti corrispondenti del relitto sottostante; queste venivano rilevate ed in seguito, dopo il collaudo, sottoposte al procedimento di resinatura; è chiaro che con questo metodo si è privilegiato il parametro della sicurezza a scapito di una visione globale.
Per quanto riguarda la documentazione grafica, precluso il rilievo fotogrammetrico, la scelta obbligata è stata quella del rilievo strumentale, che permetterà sia una restituzione bidimensionale dell’oggetto rilevato, sia la realizzazione di modelli tridimensionali digitali. Ogni singolo relitto quindi può essere ricostruito virtualmente.

Bibliografia

Sullo scavo si veda per ora
S. BRUNI
, Appunti preliminari sullo scavo nell’area del complesso ferroviario di “Pisa-San Rossore”, in Le navi antiche di San Rossore, Firenze 1999, p.11 s.;
IDEM, Pisa, il porto urbano e i relitti del complesso ferroviario di “Pisa-San Rossore”. Appunti su uno scavo ancora in corso, in Bollettino Storico Pisano LXIX, 2000, p. 275 s.;
IDEM, il porto urbano di Pisae e i relitti del complesso ferroviario di “Pisa-San Rossore”. Primi dati (molto) preliminari, in Le navi antiche di Pisa. Ad un anno dall’inizio delle ricerche, Firenze 2000, p. 21 s.;
IDEM, Porti e approdi di Pisa. Nuovi dati alla luce degli scavi nell’area del complesso ferroviario di “Pisa-San Rossore”, in corso di stampa nel volume Naxos 999. Archeologia subacquea, Atti della rassegna internazionale Giardini di Naxos 29-31 ottobre 1999;
IDEM, Die Hafen von Pisa, in In Poseidons Reich, Atti della Sesta Conferenza, Erlangen 3-4 marzo 2001, in stampa in Skillis. Zeitschrift fur Unterwasserarchaeologie 4, 2001;
IDEM, The Urban Port of Pisae and the Wrecks of the “Pisa-San Rossore”, in The Ancient Ships of Pisa, catalogo della mostra United NationsBuldings, New York 2001, Pisa 2001, p. 66s.